MEMINI
VITA MONDANA
MILANO
LIBRERIA EDITRICE GALLI
DI
C. CHIESA E F. GUINDANI
Galleria V. E., 17-80
—
1891
Proprietà letteraria
STAB. TIP. E. TREVISINI — MILANO
[1]
Nella elegante portineria olandese, nicchiatanel verde, di fianco al cancello del giardino,il sopraggiungere di Alberto Mentena non cagionòmeraviglia alcuna. — La linda portinajasi alzò premurosamente per aprir l'uscio che mettevasul viale e accompagnò il giovane, sinchèpotè vederlo, colla benevolenza del suo visposguardo di vecchietta. Alberto Mentena era simpaticoa tutti, giovani e vecchi, ricchi e poveri.
S'inoltrò con spedito passo pel giardino,veramente bello nella pompa primaverile delsuo verde. In fondo al viale, biancheggiavala villa, a mezzo rivestita di arrampicanti, unvero nido di pace elegante. La brezza temperavail calore del meriggio, mettendo delle[2]molli oscillazioni nei penduli rami della clematidein fiore e un fremito continuo, sommesso,quasi musicale, nei cortinaggi di telarussa che adombravano l'atrio. — Un domestico,vestito di nero passava grave ed ozioso,a capo chino. Ma Alberto non lo chiamò. — Atteseanzi per procedere ch'egli si fosse allontanato. — Allorasoltanto penetrò nell'atrioe prese a destra, mettendosi per un'ampia fugadi sale. Le attraversò senza fermarsi nè incontrarealcuno, sinchè giunse e si trattenne inun salotto piccino che apriva su una speciedi serra, o meglio un piccolo giardino d'inverno,colle pareti ad invetriate.
In quella serra stava sola, una signora giovane,non bellissima, snella, piuttosto piccina,con un volto pallidetto, di persona ammalatao molto inquieta. Sedeva in una piccola nicchiettadi verde, fra due palme, in una poltroncinadi giunco e ricamava, svogliatamenteperò, un canovaccio campionato a disegni antichi,con delle tinte pallide e vecchie.
Alberto non entrò in quel luogo. Si fèpresso all'uscio, con precauzione, perchè ella[3]non lo udisse, non sapesse ch'egli fosse lì. Sitenne celato dietro una portiera, rimuovendolasolo quanto bastava a concedergli la visionedi quanto accadeva nella piccola serra.
La signora si credeva sola. Credeva ch'eglifosse lontano assai. E perciò viveva liberamentequell'ora di solitudine e di sofferenzeintime.
Tutto in lei contribuiva a tradire l'internalotta. Il tremore delle labbra, l'espressionespeciale della fisonomia, l'inconscia irrequietezzadei moti. Il lavoro fu lasciato e ripresopiù di una volta. — Ogni tanto un'idea passava,quasi tangibile, sulla sua fronte, fissandonegli occhi e sulle labbra semi aperte un'estasivaga, mettendo nella personcina frementeuna súbita pace di riposo, contrasto stranocoll'agitazione sì viva che lo aveva preceduto...
Diana Contessa di Rezzano ebbe, finalmenteun amaro sorriso, cui tenne dietro un lungo esconsolato sospiro. Afferrò un libro che giacevasu un prossimo tavolino. Lo aperse, viattese per dieci minuti, poi i suoi pensieritornarono in frotta, più eloquenti delle pagine[4]del libro. Essa lo depose, senza chi