STORIA
DEGLI ITALIANI
PER
CESARE CANTÙ
EDIZIONE POPOLARE
RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI
TOMO XI.
TORINO
UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE
1876
[1]
Il travaglioso parto della società moderna era omaicompito: i Comuni si erano associati coi re per congegnareestese monarchie coi rottami delle giurisdizionifeudali tra cui era frazionata l’autorità sovrana, e farprevalere una volontà unica, intitolata la legge, chemantenesse dentro la pace, fuori l’influenza. Ma dopotanto declamare contro le repubblichette e la insanabileloro irrequietudine e le guerricciuole del medioevo,dopo tanto adombrarsi che uno Stato italiano non prevalesseagli altri, or giacevano tutti allivellati dalla servitù,impotenti a nuocersi a vicenda, ma anche aresistere altrui: assodaronsi i principati, ma con essinon venne l’unità, non venne la quiete colla tirannide.Dacchè, per la Riforma, l’Europa fu scissa in due campi,il sacerdote non poteva più comandare dappertutto; ese una provincia protestante si volgesse a’ danni di unacattolica, non si poteva che reprimerla; donde unanuova necessità del potere monarchico, che si surrogòall’ecclesiastico con vantaggio forse dell’ordine, nondella libertà. E per la necessità dell’ordine vennero dimentichio conculcati i privilegi; raccolti grossi eserciti,[2]dome le aristocrazie, elise tutte le resistenze particolari;costretta la Chiesa a schermirsi contro la forza, finchèvi soccombesse. Introdurre l’eguaglianza, fiaccare leprepotenze feudali, svegliar nei popoli la coscienza dell’unitàmediante una politica nazionale, rendere a tuttiaccessibile la coltura, ed anche alle classi infime l’industria,estendere il concetto della parità di diritto edella cittadinanza, sono gli uffizj pei quali la monarchiasi fa stimare dai popoli: ma quando ai trambusti succedeil riordinamento, qualche genio, come Costantino,Carlo Magno o Napoleone, di tutte le attività sa giovarsial suo scopo; altri credono non poterlo che soppiantando,comprimendo; e così si fece nel secolo decimosesto inItalia. — O Dante, avresti potuto vedere che la pacedel despotismo trionfante è la pace del sepolcro.
Il commercio, non che fiorisse al chetar de’ tumulti,perì nell’atonia universale; giorni smunti e afosi sottentravanoai procellosi; non apparendo nè l’individualegagliardia del Cinquecento, nè le complessive aspirazionidel Settecento, interessi immediati e angusti occupavanola scena, dianzi agitata dalle passioni; mancandola patria, mancarono fortezza di guerriero,abilità di politico, libertà di scrittore; al culto del Comunesottentrò l’egoistico punto d’onore, alle battaglie ilduello, alle vive credenze canoni legali ed opinioni, aldiritto pubblico cattolico una politica d’abilità e di tornaconto,spoglia d’ogni idealità, fondata non sulla ragionema unicamente sul fatto, non diretta dal sentimentoma dal calcolo e dalla forza. Eppure in nomedella religione sobbolliva ancora tutt