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LUCIFERO

POEMA
DI
MARIO RAPISARDI.

MILANO,

  LIBRERIA EDITRICE G. BRIGOLA.
  Corso Vittorio Emanuele, 26.

1877.

PROPRIETÀ LETTERARIA.

Coi tipi di G. Bernardoni.

I

ARGOMENTO.

Silenzio di Dio.—I suoi ministri imprecano.—Gli uomini ridono.Lucifero s'incarna.—Proposizione del poema, ed apostrofe aicritici.—Avvenimento dell'Eroe sul Caucaso, da dove eccita gli uominialle finali battaglie del pensiero.—S'incontra in Prometeo, che cercada prima dissuaderlo dall'impresa, ch'egli crede inutile e disperata;commosso indi dalle ardite parole di lui, lo prega a volergli narrarela sua storia.—L'Eroe si dispone al racconto.

    Dio tacea da gran tempo. Ai consueti
    Balli moveano in ciel gli astri, e con dura
    Infallibile norma albe ed occasi
    Il monotono Sol dava a la terra.
    Reddían le nevi a biancheggiar le spalle
    Del tremante dicembre; april venia
    Col suo manto di fiori; arida e stanca
    Movea la bionda està giù da' falciati
    Campi a cercar le vive onde marine;
    E, coronato il crin d'edra e di poma,
    Scendea l'autunno a ruzzar vispo e snello
    Fra l'accolte alpigiane, e pigiar l'uve
    Nei colmi fianchi dei capaci tini.
    Tutto seguía così l'alte, immutate
    Leggi de la Natura, e nullo in terra
    Creato obietto, o in ciel, l'arduo sentiva
    Strano silenzio del mai visto Iddio.
      Abbandonati e solitarî intanto
    Giacean per le infrequenti aule divine
    I marmorei Celesti; e per le fredde
    Vòlte il sacerdotal canto e la prece
    Qual vano si perdea grido, che inalza
    Da la rupe solinga il cacciatore,
    Se mira dileguar giù ne la valle
    Tra 'l sonante canneto il salvo augello.
    Da fiero gel, da sacro orror comprese
    Fur l'alme vostre allor, pallidi e negri
    Zelatori de l'are; e quando ai vani
    Scrigni balzar vedeste arido e magro
    L'obolo di san Pietro, e oziose e tristi
    Tornar dal mondo, qual gregge digiuno,
    Le scornate Indulgenze, orridamente
    Su le madide tempie alto rizzârsi,
    Come ad istrice, i crini, ed agitato
    Tre volte e quattro tentennò il tricorno
    Su la sacra tonsura. Un grido, un urlo
    Cupo s'alzò dai congiurati petti:
    —La fede muore! O Dio, fulmina e sperdi
    Gl'increduli mortali!—
                            Alcun non arse
    A la prece crudel fulmine in terra;
    E i mortali rideano.
                        Udì quel riso
    Lucifero, e balzò. Sedeangli intorno
    Il silenzio e la morte; oscure e fredde
    Strisciavan su la sua fronte immortale
    Strane larve di sfingi e di chimere,
    Ed ei, solo com'era, in mezzo a tanta
    Morte la luce e l'armonia sentiva.
    —Qui in eterno starò? Favola indegna
    Senz'opra e senz'amore, io, che del cielo
    Per istinto d'amor spregiai la vita?
    No, si torni a la terra! Un nuovo io sento
    Spirto d'amor, che mi di

...

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